La chiesa cattolica del Vescovo di Roma, in Siria è Universale?

il ruolo della comunità cristiana a partire dall’esperienza di Padre Paolo dall’Oglio”

– Intervento del 25 maggio scorso in occasione del seminario all’Orientale di Napoli –

Care e Cari,

Vorrei ringraziare innanzitutto voi studenti e i diversi docenti presenti per essere venuti a un nuovo incontro di approfondimento sulla questione siriana dentro al nostro ateneo, l’Orientale di Napoli. C’è anche un elemento di novità, è la prima volta che studenti Unior pro Rivoluzione siriana organizza un evento congiunto con la Federazione Universitaria Cattolica Italiana.

Purtroppo, anche oggi il tema che affronteremo è un argomento drammatico. Sulla questione del ruolo dei cristiani vorrei però essere molto umile, ispirandomi proprio al pensiero di Padre Paolo.

Ci sarebbero due modi d’interpretare la questione posta: la partecipazione della comunità cristiana in Siria, e/o la partecipazione di noi cristiani. Cercherò dunque di approfondire entrambi questi ambiti. Vorrei però fare una premessa sul tema della paura.

Regolarmente i mezzi d’informazione “Mainstream” – nel senso di mezzi d’informazione che ambiscono a strutturare la comprensione quotidiana di un ampio pubblico nazionale, o addirittura internazionale – ci fanno pervenire notizie di atrocità commesse da gruppi “terroristici”.

Abbiamo avuto il caso di Jihadi John e qualche giorno fa è stato riportato un nuovo attentato dinamitardo rivendicato da Daesh nella regione costiera dove sono situate le basi militari russe (Tartus e Jablah). Nel privilegiare la notifica di questi avvenimenti di sangue, l’intento è chiaramente di terrorizzare anche noi.

I siriani di per sé, e i bambini in particolare, sono terrorizzati a prescindere, subendo attacchi indiscriminati dal cielo – così come nel 1937 la popolazione di Madrid fu terrorizzata.

La forma cinica di coordinamento tra gli attentatori e chi riporta meticolosamente il loro agire – per assurdo facendo loro una maggiore pubblicità – ci stupisce dunque. Non sarebbe meglio, invece di rapportare semplicemente un attentato, dare anche qualche elemento di contestualizzazione: escludendo ad esempio qualunque rapporto con una data religione oppure sottolineando la natura illecita dei finanziamenti percepiti dai gruppi di attentatori?

La paura in effetti è diventato un nodo centrale quando si parla di Siria. Cito perciò Matteo 10,28: “ Non abbiate paura di quelli che possono uccidere soltanto il vostro corpo, ma non possono toccare la vostra anima! Temete soltanto Dio, che può far perire entrambi, sia l’anima che il corpo, all’inferno.”

Non solo, ma in quanto universitari sappiamo che la paura paralizza e ci impedisce di affrontare determinati problemi e tematiche. Noi napoletani conosciamo molto bene questa dimensione, vivendo in una città dove la paura è stata strumentalizzata all’eccesso. Tutt’ora essa condiziona l’agire quotidiano di molti di noi ed è difficile qualche volta accantonarla.

I siriani hanno compiuto però una rivoluzione straordinaria nel 2011 rompendo la gabbia della paura. Le comunità cristiane locali invece hanno avuto molta più difficoltà ad emanciparsi da ciò – non perché siano stati sistematicamente oggetto di persecuzione, ma perché hanno subito una politica intimidatoria continuativa.

Chi sono i cristiani in Siria?

Basti citare la conversione di San Paolo che fu folgorato sulla via di Damasco, le testimonianze architettoniche della Chiesa dedicata a San Giovanni Batista che sono racchiuse nella moschea degli Omayyadi della capitale siriana, oppure San Simeone Stilita che visse su una colonna nella provincia di Idlib – per distaccarsi dai beni materiali – per capire quanto il territorio siriano sia ricco di testimonianze della storia del christianesimo.

Esiste una moltitudine di comunità cristiane in Siria: dalla comunità Siriaca che parla l’aramaico antico in località come Ma’lula e probabilmente Qamishli, agli armeni, ai protestanti reduci delle missioni di evangelizzazione anglo-americani del fine ‘800, ai cattolici (un terzo del totale approssimativamente) – che si dividono in maroniti, latini e uniati di riti ortodossi (melchiti, siri-cattolici, armeni-cattolici e caldei) – fino al gruppo maggioritario che sono i greco-ortodossi che vivono lungo la costa e nei principali centri urbani. L’organo ecumenico che cerca al livello regionale di fare confluire le istanze delle varie comunità cristiane è il Concilio delle Chiese Medio-Orientali che organizza un’assemblea plenaria ogni 4 anni.

Già prima dello scoppio della Rivoluzione nel 2011, la metà della popolazione cristiana (8% del totale) viveva nella Rif Dimasq, vicino dunque al cuore dello Stato. Però è la vita monacale a giocare un ruolo centrale nella costruzione dell’identità delle comunità cristiane, rispondendo alla domanda di base: che significa essere cristiani in Siria? E’ anche da qua che scaturisce l’enorme seguito che Padre Paolo ha avuto in Siria stessa.

Consideriamo esempi anche precedenti che illustrino questo sforzo di radicamento locale: gli esponenti del principale gruppo cristiano in Siria hanno partecipato attivamente al movimento nazionale arabo nel ‘900, ad esempio Michel Aflaq è stato uno dei fondatori del Ba’th, e ‘Ali Hurayki da vescovo di Hama organizzò la Conferenza di Bloudan nel ’37 per denunciare il progetto di spartizione della Palestina.

Tale concezione di essere dei membri di un corpo più ampio è cruciale considerato anche l’atomizzazione delle comunità e l’assenza decennale di rappresentanza politica libera. L’esempio dell’attivismo politico nella jazira pluri-confessionale e pluri-etnico degli anni ’50 può essere un altro caso di scuola in tal senso. In fine, va sottolineato che il livello d’istruzione dei membri delle comunità cristiane è più elevato della media e che hanno spesso contatti privilegiati con l’Occidente – non stupisce perciò che essi rivestano incarichi diplomatici di alto rango: come nel caso di Tariq Aziz che era ministro degli esteri di Saddam Hussein.

C’è una discriminante però che divide i cristiani in Medio-Oriente:

Da dove nasce lo scismi tra cattolicesimo e ortodossia?

Storicamente, da una volontà di espansione territoriale del papato:

Le Xème siècle avait connu un affaiblissement sans précédent de la papauté, victime des factions de l’aristocratie romaine, ou soumise à l’influence des empereurs germaniques. De nombreux abus s’étaient partout introduits dans l’Eglise latine: vente de charges ecclésiastiques, collation des fonctions religieuses par des laïcs, mariage ou concubinage des prêtres. Avec le pontificat de Léon IX (1047-1054) commence une véritable réforme de l’Eglise. Le nouveau pape est entouré d’hommes de valeur, généralement originaires de Lorraine, notamment le cardinal Humbert de Silva Candida. Les réformateurs ne voient pas d’autres moyen de remédier aux maux de la chrétienté latine que de renforcer la puissance et l’autorité de la papauté. Et ils estiment que cette autorité, telle qu’ils la conçoivent, s’étend à l’Eglise universelle, qu’elle soit latine ou grecque.” (Histoire d’une déchirure: Orthodoxie et Catholicisme, Archimandrite Placide Deseille; Monastère Saint-Antoine-le-Grand: 1995; p.16-17)

In quei medecismi anni (metà del XIesimo secolo) si assiste ai primi eventi che segnano un diretto intervento del papato nella lotta contro I musulmani in Spagna così come in Sicilia. Incontestabile è il nesso con la riforma della Chiesa intrapresa dai papi a partire della metà del secolo: prende forma l’idea di una supremazia pontificia che imponendosi a tutti i poteri laici dell’Europa latina offre loro obiettivi legati all’espansione della cristianità. Nelle marche nordiche e slave dell’impero romano-germanico la conversione dei pagani a opera di missionari aveva ampiamente affiancato l’avanzata conseguita con interventi militari, e talvolta aveva anche agito da sola. Peraltro era il potere imperiale ad aver avuto l’iniziativa. Sul versante meridionale della cristianità… il solo coordinatore possibile delle azioni cristiane era il potere pontificio, e questo avveniva in pieno accordo con le idee teocratiche che ne ispiravano in quel tempo la politica.

Fu nel 1059 infatti che il papa Niccolò II consolidando la nuova alleanza con i Normanni allora in piena espansione nell’Italia meridionale affidava loro implicitamente la missione di conquistare la Sicilia ai musulmani. Roberto il Guiscardo, riconosciuto come “futuro duca di Sicilia” si dichiarava vassallo della Santa sede, esempio che sarà seguito da altri signori e sovrani meridionali, in particolare dai re d’Aragona.” (“L’Islam e l’Europa” in Storia d’Europa, vol 3: il Medioevo secoli V-XV, Pierre Guichard; Einaudi: 1994; p.314-5)

Il concetto cattolico di Chiesa era già di per sé, fin dall’età antica, ricco di contenuti sociali e di virtualità politiche, in quanto implicava la disciplina delle collettività di credenti entro quadri istituzionali operanti in un’amplissima sfera di rapporti umani, non senza ricorso a propri mezzi efficaci di coercizione morale. La gerarchia ecclesiastica non era preposta al solo culto religioso, come altri sacerdozi.” (“il volto ecclesiastico del potere nell’età carolingia” in Storia d’Italia, vol 23 – La chiesa e il potere politico: Chierici e laici dal Medioevo alla Controriforma; Einaudi/il Sole 24 ore: 2006; p.7)

Certamente vanno anche considerate le contese teologiche – tutt’ora irrisolte – tra questi diversi schieramenti di cristiani, a cominciare proprio dal significato di “supremazia” del vescovo di Roma sui gli altri vescovi

Rapporti complessi tra le minoranze etniche o religiose e le maggioranze numeriche

Più in generale, vediamo che tra gli scienziati l’approccio alla questione delle minoranze in Medio-Oriente, e in Siria in particolare, cambia nel corso del ‘900:

L’approche historique de la problématique minoritaire arabe fut… (fondée initialement) sur une conception essentialiste; les travaux d’alors se sont principalement intéressés aux minorités selon trois points de vue: leur importance numérique, leur spécificité religieuse et leur rapport à l’Etat. (Par contre,) depuis la deuxième moitié des années 1990, cette question a été reexaminée… (et il a été) montré à quel point l’histoire de ces minorités devait être considérée: l’histoire de leur formation et de leur évolution, mettant en lumière des divisions et des dynamiques internes, ainsi que celle de leurs realtions avec les autres communautés en présence dans le temps et dans l’espace.” (Des monastères en partage: Sainteté et pouvoir chez les chrétiens de Syrie, Anna Poujeau; Nanterre: Société d’Ethnologie, 2014; p.12-3)

Il ricatto della “protezione” esercitato dagli al-Asad

Va sottolineato che la fragilità delle comunità cristiane nasce anche dal loro potere economico (crescituto grazie alle capitolazioni di epoca ottomana che risalgono al ‘400) e dal rapporto qualche volta ambiguo che hanno coltivato con l’Occidente. Ciò è stato evidente in occasione delle nazionalizzazioni del ’61 (in epoca della RAU) quando mezzo milioni di siriani sono emigrati, la metà dei quali cristiani.

Dall’inizio della Rivoluzione del 2011, il regime ha giocato molto su questo aspetto di fragilità comunitaria: con delle spedizioni intimidatorie ad esempio nell’aprile del 2011, in pieno periodo della Quaresima: sul sagrato della Cattedrale ortodossa di Latakia e nel quartiere di Bab Tuma a Damasco (luogo simbolo del Potere cristiano in Medio-Oriente con la presenza di tre vescovati e due rappresentanze vescovili) – delle quali il sottoscritto è stato personalmente testimone.

Considerato tutto ciò e visto la sofferenza che accinge l’intera popolazione siriana, il nostro ruolo da cristiani non può essere rivolto a sostenere i soli cristiani (appartenenza comunitaria che per altro in nessuna parte del mondo determina interamente il loro agire quotidiano). Non è quello che ci insegna il Vangelo. Peraltro a quali cristiani dovremmo rifarci considerato le loro diversità?

Johannes Waardenburg