Tornare sempre alla Rivoluzione. Ovvero: la denuncia di pratiche vecchie come il cucco.

“Attenti a quei due!..”

Come membri del movimento di supporto alla rivoluzione siriana e ai contenuti laicisti ed emancipatori – quali quelli preannunciati nel 2011 – abbiamo amaramente constatato che il clima elettorale ha reso ancora più evidenti alcune contraddizioni interne al movimento in Italia, oggi incarnate da chi persegue giochi partitici piuttosto che concorrere ad un percorso teorico e di lotta del movimento stesso; inoltre, riteniamo opportuno evidenziare che ultimamente la lotta si è appiattita prevalentemente sul lavoro d’informazione, con il rischio della creazione di gerarchie che sembrano già stabilite: da una parte una sorta di manovalanza più o meno consapevole, che si occupa di articoli, traduzioni e simili tramite un mezzo mediatico; dall’altra elementi “dirigenziali” che si fanno interlocutori primari. Tutto ciò è evidentemente lesivo ad una crescita e ad una riflessione più allargata e condivisa, nonché a responsabilità e autonomia di chi lavora su territori diversi.

Questo preambolo nasce dall’esigenza di spiegare i motivi che, come membri del Comitato Permanente per la rivoluzione siriana, ci hanno spinti a distinguere il nostro percorso di solidarietà e di lotta da quello di soggetti “storici”, prendendone le distanze: episodi di verticismo e di accentramento arbitrario della lotta, ultimamente appiattiti su contenuti elettoralistici e di convenienza ideologica (quando non personalistica) hanno reso impossibile la collaborazione con gli stessi.

In questi anni, alla denuncia di episodi che hanno fatto emergere contraddizioni ormai insanabili, è stato risposto con arroganza e superbia a chi, come noi, faceva presenti alcuni errori in merito alla crescita lineare ed orizzontale del movimento di solidarietà.

Si è arrivati perfino alla demonizzazione di compagne e compagni da anni impegnati con coerenza al fianco del popolo siriano e dei popoli arabi.

Ad esempio di quanto affermiamo esponiamo alcuni episodi occorsi nel cammino fatto insieme a queste persone negli ultimi tre anni.

1) Crediamo che sia stato un errore quello di mettere nelle mani della politica, e per di più una politica dichiaratamente pro-Asad, tutto quanto emerso in termini di solidarietà ai siriani dopo la conferenza di Bologna dell’ 11-12 ottobre 2015, e per di più senza confrontarsi con le compagne e i compagni o chiedere una discussione in merito all’utilità di quella iniziativa. In quell’occasione Germano Monti e Fouad Rouheia presero individualmente la decisione di interpellare un noto esponente dell’M5S circa la situazione siriana, in quello che noi ravvisiamo fu un tentativo autoreferenziale di portare avanti istanze personalistiche in ambito politico-istituzionale. Infatti, in quel periodo, più che interrogare la politica asadista sarebbe stato utile rafforzarne la critica attraverso lo strumento collettivo del Comitato Permanente per la rivoluzione siriana (nato qualche settimana prima) e del cui coordinamento faceva parte lo stesso Fouad Rouheia. La ricaduta immediata di tale iniziativa fu lo scioglimento definitivo del coordinamento.

2) Ad inizio di febbraio 2016, sulla scia della Conferenza di Milano (16-17 gennaio), che intendeva ribadire un percorso rivoluzionario e un metodo orizzontale, promuovemmo una Manifestazione nazionale a Roma in ricorrenza dell’anniversario della rivoluzione siriana. Ritenemmo opportuno rilanciare questo segnale proprio in risposta ad un appiattimento contenutistico conseguente allo scioglimento del coordinamento che agevolò la pratica di accentramento messo in atto da Germano Monti e Fouad Rouheia – proprio in un momento in cui l’intervento russo in Siria rafforzava posizioni negazioniste della rivoluzione. Quando proponemmo la manifestazione agli stessi soggetti di cui sopra, nel tentativo di ricompattare e ricomporre gli attivisti italiani, non solo ottenemmo un ambiguo diniego, ma ritrovammo poi Germano Monti alla manifestazione, accompagnato dal gruppo “La Comune/ex-socialismo rivoluzionario” con il quale aveva fino ad allora collaborato nella sola Roma. Ed in quella occasione, esponenti di quel gruppo intervennero affermando che la rivoluzione era stata sconfitta, senza alcun rispetto degli stessi siriani che sostenevano il contrario.

Quindi, non solo questi due esponenti di Roma scelsero come interlocutori privilegiati “La Comune” (già cacciati per le loro posizioni dalla Conferenza di Bologna), pervenendo anche a nostra messa in guardia circa la loro pratica politica (che risponde all’agenda del gruppo dirigente), ma imposero subdolamente questi soggetti all’interno delle nostre iniziative.

3) La preannunciata mostra Caesar sui crimini del regime di Asad, invece di costituire uno strumento unificatore della solidarietà al popolo siriano, occasione di dibattito e mezzo di formazione militante di persone che costruissero nelle loro realtà territoriali a fini informativi, fu una ulteriore occasione di autoprotagonismo ed accentramento decisionale.

Germano Monti, Fouad Rouheia e Riccardo Bella gestirono l’organizzazione della mostra, per la cui promozione si avvalsero della collaborazione di Amedeo Ricucci. La mostra avrebbe fatto tappa almeno a Roma, Napoli e poi Milano. Anche in questo caso leggemmo come ulteriore prevaricazione il fatto che gli attivisti e militanti di Napoli furono messi al corrente dell’arrivo della mostra in città soltanto a cose fatte. Eppure proprio a Napoli si era creato terreno fertile per la crescita del movimento di solidarietà, in seguito all’aggressione (anche fisica) subita dai pro-Asad in piazza.

Come se ciò non bastasse, nell’estate 2016, ci ritrovammo a dover contestare la scellerata decisione d’inserire nel video di promozione della mostra una intervista ad Erri De Luca, le cui posizioni sul sionismo sono note. Questo, a nostro avviso, andava ad alimentare la falsa teoria pro-Asad secondo la quale tutta la rivolta in Siria era frutto di una cospirazione imperialista-israeliana.

Tralasciando la convenienza per Israele di mantenere al potere il regime degli al-Asad, trovammo bizzarro che la militanza pro-Palestina di Germano Monti, Fouad Rouheia e Riccardo Bella avesse potuto piegarsi ad esigenze mediatiche di visibilità, più utili per un giornalista che per degli attivisti.

4) In seguito all’attacco chimico del regime sulla località di Khan Shaykhun del 4 aprile 2017, il Comitato Permanente si fece promotore di una petizione da consegnare alla Farnesina per esigere finalmente una presa di responsabilità da parte delle istituzioni italiane. Contestualmente a questo, da Roma venne l’invito ad una manifestazione nazionale, il cui rinvio di mese in mese fino ad ottobre fu motivato dal timore di una scarsa aggregazione. Ancora una volta ci si è appiattiti sulla visibilità piuttosto che su quella manifestazione come mezzo di crescita orizzontale – ostinandosi a dialogare con realtà politiche per fare numero piuttosto che farsi mezzo di coinvolgimento della società civile circa quello che accade in Siria.

La stessa grande manifestazione del marzo 2014 dimostrò che non basta il dato numerico per informare e coinvolgere sulla Siria: le proporzioni della stessa mobilitazione non portarono automaticamente ad una conseguente crescita del movimento di solidarietà, anzi forse chiamarono noi ad un maggiore e più coerente impegno.

5) PaP e Sinistra Anticapitalista.

Quanto detto fin qui trova la sua definitiva e palese conferma sulle ultime posizioni assunte da Germano Monti e Fouad Rouheia in merito alla formazione politica “Potere al Popolo”: la pubblica dichiarazione di adesione al programma elettorale di questa lista ha gettato un velo di ambiguità sulla solidarietà tutta alla rivoluzione siriana.

Chi vive a Napoli sa da chi e da cosa è nato “Potere al Popolo”, e chi ne sono i componenti primari. Gruppi politici come Rete dei comunisti, Carc, Rifondazione comunista, il collettivo studentesco CAU, confluiti nel progetto ex-OPG e cavalcando le istanze dell’amministrazione cittadina, hanno costruito un apparato abbastanza forte e tale da proporsi come “novità” nel panorama politico ed elettorale. Chi oggi chiama al voto di questo soggetto politico sa fin troppo bene che si tratta di settori pro-Asad che per sette anni hanno taciuto sul massacro in corso in Siria, quando non partecipato direttamente alla disinformazione e alla negazione di quella rivoluzione, e al boicottaggio di ogni confronto e tentativo di dialogo.

Ora, riteniamo che un conto sia manifestare la volontà d’intercettare in “PaP” quei soggetti sensibili alla rivoluzione siriana, nel tentativo di coinvolgerli nella nostra battaglia di solidarietà; altra cosa è addebitare alla sigla stessa connotazioni anti-Asad, trascendendo la realtà oggettiva delle componenti fondanti di “Potere al Popolo”, e addirittura invitare subdolamente al voto. Di fronte alla palese contraddizione di queste posizioni ci siamo interrogati sul perché si perseguisse (ancora una volta unilateralmente) questa strada, interpellando numerose volte i “protagonisti”, senza mai riuscire ad ottenere una risposta convincente; ma anzi, assistendo ad un arroccamento su quelle posizioni e ad un progressivo accentramento di forze e di “reclutamento” di persone, il tutto teso ad escludere dal dibattito le voci dissidenti con vere e proprie operazioni di isolamento e demonizzazione. Pratiche di stalinista memoria, che credevamo condannate una volta per sempre, e che ci hanno ulteriormente allertati e spinti a denunciare il loro agire.

Dopo l’intervista di NenaNews del 14 febbraio 2018 sul medioriente a Chiara Capretti, esponente napoletana del PaP, in cui la stessa esprimeva considerazioni inaccettabili sulla Siria (e non solo), il nucleo di Napoli sentì urgente l’invito ad un confronto pubblico pre-elettorale, che facesse piazza pulita della solita disinformazione ad opera dei pro-Asad. Nell’organizzarci per questo confronto, ci siamo visti riproporre il consueto verticismo, con Monti e Rouheia che da Roma dettavano “istruzioni” sul come, cosa, quando e con chi fare quell’incontro. Tutto ciò non in un clima di collaborazione e sostegno reciproco, ma con metodi e toni dirigenziali, con l’aggravante di più o meno chiara indicazione di voto: chi sa di essere letto e seguito da un gran numero di persone in merito alla Siria, dovrebbe astenersi dall’attribuire a sigle come “PaP” fantasiose potenzialità di comprensione dei processi arabi, soprattutto considerata la chiarezza delle posizioni di “PaP” in merito alla rivoluzione siriana.

Tutto quello che è venuto dopo è stato un susseguirsi di pratiche di isolamento e demonizzazione di coloro che porgevano argomentazioni contenutistiche, definite “paranoie” da chi oggi fa parte di una enclave chiusa che obbedisce acriticamente a quello che è diventato un vero e proprio vertice.
E a chi vaneggia di una nostra presunta rinuncia al chiarimento, rispondiamo che il nostro riferimento non è e non sarà mai un enclave addomesticata a manovre politiche e verticistiche, ma gli attivisti, la società civile e quei soggetti politici/informativi/umanitari che non intendono piegarsi alle logiche fin qui denunciate.

La rivoluzione siriana come processo di autodeterminazione tuttora in atto, nato sulla scia delle primavere arabe, ha scardinato schemi politicisti che comprimevano la comprensione del potenziale delle lotte dal basso, in quelle regioni dove il dominio globale si esprime in modo più forte. La repressione di quelle lotte da parte dei regimi e degli Stati dimostra che la sola lettura “anti-imperialista” e geopolitica (nel senso convenzionalmente dato ai termini) non può bastare a spiegare e a fare emergere gli interessi che gli stessi oppressori condividono con l’Occidente. Perciò riteniamo che cadere nella trappola elettorale (cosa che sta accadendo proprio negli ultimi giorni) significa rischiare di consegnare definitivamente il dibattito nelle mani dei detrattori delle lotte arabe e delle popolazioni in generale, e di tornare indietro di sette anni.

Pensiamo che il patrimonio teorico e di lotta che fino ad ora abbiamo elaborato vada salvaguardato, rilanciato e sviluppato, e che il metodo di questo percorso debba necessariamente essere coerente con il fine.

Siamo pronti a ripartire da questo, rimboccandoci le maniche, e accogliendo tra noi chiunque sia mosso dalla stessa sensibilità umana e politica. Noi non aspetteremo il “dopo 4 marzo” per denunciare chi da sette anni sta massacrando una intera popolazione; ma soprattutto non rispetteremo l’agenda di chi da sette anni si è reso complice del massacro.

Johannes Waardenburg

Fiorella Sarti

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